XXIX DOMENICA T.O.- Anno C
(Es 17,8-13; Sal. 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8)
Chiediamo la grazia di una riflessione attenta, che possa penetrare fino al midollo della nostra vita di credenti.
Refidim – il luogo di cui ci parla la prima lettura – significa animo indebolito, animo che non incoraggia a proseguire il cammino. Israele deve imparare che Dio mantiene la sua promessa, ma richiede che il destinatario la condivida e la faccia sua nella fede. Senza fede non c’è libertà, non può esserci la terra, non il paradiso. E la fede è anche umiltà e desiderio. È l’umiltà della mente che si rende conto della la sproporzione fra quanto responsabilmente abbiamo scelto e cui siamo chiamati e la nostra incapacità. Incapacità a realizzare il nostro desiderio. Un’incapacità così forte da paralizzarci e indurci alla rinuncia, al “cadere delle mani”. Avvertire questa sproporzione è come fare un’esperienza di deserto, di vedovanza. Tuttavia l’umiltà della mente radicata nella fede è credere alla promessa di Dio e fare spazio alla sua volontà, sapendo che – anche se sulla terra non è come in cielo – è possibile realizzare qui, nella provvisorietà, il nostro desiderio, la risposta alla chiamata del Signore. Questo spazio è la vita interiore, la vita di preghiera, che ci apre all’irrompere della presenza di Dio nel qui e nell’ora della nostra vita. Per riuscire davvero a spezzare il pane della Parola, ad accoglierla e a farla nostra, è necessaria la vita di preghiera, che dà frutti impensabili. Essa permette a noi – come ad Israele nel deserto – di fare esperienza di Dio, del suo “oltre”, dell’infinita ricchezza del suo essere e del suo donarsi a noi, che è sempre al di là, è sempre infinitamente più grande del nostro pensare e del nostro desiderare.
In questo cammino di vita interiore anche noi sperimentiamo, come Israele, come la stessa vedova della parabola lucana, che la nostra richiesta non ottiene i frutti creduti. Israele vince Amalek, la vedova ottiene giustizia, ma il vero dono di Dio va oltre le nostre richieste, perché la preghiera ci fa sperimentare che egli è Amore. Allora anche il desiderio che ci ha spinto a pregare si scolora. La legge dell’essere di Dio è amare e nella preghiera, progressivamente, impariamo a volere l’amore, a chiederlo. La persona che si tende verso Dio-Amore, per quanto piccola essa sia, non infastidisce Dio. Ogni creatura è stata creata da Dio e vista da lui come “cosa buona” e non potrà mai infastidirlo. Il vero dono che la preghiera ci fa è il sapere sempre meglio che Dio è Padre, è sempre il nostro Amico. È appunto l’oltre, perché è sempre al di là della nostra esperienza umana del nostro stesso desiderio. Dio è potenza operativa di un amore sempre disponibile, come Luca ci ha detto nel cap.11. Dio è sempre commosso dal grido e dal pianto di ogni creatura, dal dolore della vedova di Nain come dal pentimento della peccatrice, nella casa di Simone. Comprendere questo è il dono che Israele ottiene dalla intercessione di Mosè. Come la vedova dobbiamo imparare che gli avvenimenti drammatici delle nostre vite sono positivi nella misura in cui, aprendoci a Dio, ci permettono di fare esperienza del suo amore.
Si tratta di un amore, che proprio in quanto amore, vuole la reciprocità. Ce lo ha detto Gesù stesso, invitandoci a pregare senza stancarci mai. Non pregare moltiplicando le parole, né piagnucolando, perché Dio ci ama nel rispetto totale della nostra libertà e della nostra dignità. Come ci dice Agostino, pregare è “porre il nostro desiderio davanti a Dio”. Non dobbiamo cercare una soluzione magica dei nostri problemi, né una risposta istantanea, che ci esima dalla collaborazione attiva di una fede operosa. Alla fine del brano odierno Gesù – che pure aveva promesso la giustizia a quanti gridano verso Dio giorno e notte – ci spinge ad interrogarci sulla qualità della nostra preghiera, chiedendosi: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Una preghiera che non si nutre della Parola è una preghiera senza fede.
Ascoltiamo l’invito che Dio ci fa ad un rapporto di reciprocità con lui. È vero che da un lato c’è il suo Amore senza limiti, il suo Pensiero eterno e dall’altro la nostra limitatezza, la nostra libertà soggettiva e fluttuante. È vero che ci appare arduo uscire dalla nostra oscurità, dalla nostra debolezza, per entrare nell’ottica di Dio. Ma è proprio per questo che dobbiamo pregare senza stancarci. Occorre tempo. Occorre lo spazio della nostra attesa. Dio non vuole da noi un incontro episodico, ma, come dice Teresa d’Avila, una lunga relazione di amicizia. Il prodigio della preghiera ha bisogno di costanza. È così che si possono incontrare con Dio il nostro limite e la nostra debolezza, i nostri progetti e le nostre aspirazioni, nel frutto stabile della relazione filiale con lui.
Incontrarci con Dio, “avere il pensiero di Cristo”, come dice Paolo nella prima lettera ai Corinzi: chiediamo questo al Signore, come grazia nella celebrazione di oggi!
In questo brano il “Signore” parla. È il Risorto che continua a parlare alla sua Chiesa. I discepoli dovranno guardarsi dall’imitare il giudice che “non teme Dio” ed era “disonesto”, che si comportava esattamente all’opposto di come Dio si comporta.
Gesù parla con tono appassionato per assicurare che Dio ascolta la preghiera delle sue creature. Perciò “farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui”, liberandoli dalla tribolazione che, quando san Luca scrive, si concretizzava particolarmente nella persecuzione e i cristiani potevano avere il timore che il Signore non ascoltasse il loro gemito e tardasse il suo intervento, procurando la sensazione di essere stati abbandonati. Alla Chiesa provata e sofferente Gesù parla perché mantenga ferma la certezza della sua venuta; anche se i suoi tempi possono apparire ”ritardati”, egli “farà giustizia prontamente”.
L’insegnamento che Luca riferisce riguarda la preziosità della preghiera per mantenere viva l’attesa con la fede paziente e perseverante. La preghiera mantiene il credente nella fede attenta al futuro che Dio opera e dona a quanti hanno piena fiducia in Lui. Perciò la fede che nasce e rimane nella preghiera è l’esistenza stessa del cristiano vissuta nella vigilanza, nella fedeltà alla speranza per essere pronti. La cosa più importante, infatti, è essere “pronti” “nell’attesa della sua venuta”. Per suscitare questa prontezza, Gesù pronuncia l’ultima domanda: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Si esprime così per farci capire che bisogna pregare sempre, perché Dio ci possa donare se stesso con le tante e tante manifestazioni del suo amore eterno. La donna sembra dire al giudice, convincendolo: “Sii te stesso, giudica in modo corrispondente al tuo compito, in modo che io possa avere giustizia”.
Chi prega con fiducia domanda a Dio di essere se stesso con chi prega, cioè Amore che si spiega sempre di più, in una conoscenza che non si esaurisce mai. Perciò Gesù insegna a pregare ogni giorno “Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà” su ciascuno e su tutti “ sulla terra come nel cielo”.
Come pregare sempre?
Non moltiplicando le parole, ma curando con attenzione che il nostro desiderio sia in piena comunione, in corrispondenza con quanto Dio ci manifesta con la sua Parola e con la rivelazione di quanto gli sta a cuore.
“Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre. Quand’è che la preghiera sonnecchia? Quando si raffredda il desiderio”
(Agostino, Lettera 130)
Per pregare da cristiani, perciò, è importante:
- avere la certezza della paternità di Dio, che è rivolto con amore immenso verso ciascuno dei suoi figli;
- non tentare di appropriarci di Dio, imponendo il nostro desiderio alla sua Sapienza, ma presentandolo a Lui con umiltà e fiducia nella sua volontà e Provvidenza;
- custodire la certezza che la preghiera è sempre ascoltata ed accolta anche quando la risposta sembra tardare, sapendo che noi non abbiamo la misura per capire i tempi e i modi di Dio. La frase conclusiva di Gesù invita alla fede, non è parola di sfiducia ma di esortazione a perseverare. Il problema, infatti, non è se Dio interverrà presto, ma se gli uomini saranno preparati al momento del suo intervento. Perciò l’esortazione a perseverare, a non stancarsi.
Come avviene in Gesù, quando sembra che il Padre non voglia esaudirlo e gli lasci come unica via la morte in croce. Allora crede che il Padre lo ascolta e ne compie fino in fondo il desiderio di amore.
Custodiamo in cuore, in questa domenica, la parola di Paolo a Timoteo: “Tu rimani saldo in quello che hai imparato e credi fermamente”.
Il versetto che conclude il brano del Vangelo permette di cogliere in quale prospettiva Luca propone la pagina del cap.18 con le due parabole che la liturgia offre alla lettura e alla meditazione della comunità in questa e nella prossima domenica. La preghiera è necessaria – questo è in sintesi l‘insegnamento – nel tempo che precede il ritorno del Signore, in quel frattempo che da la sensazione di un ritardo di Lui, particolarmente nei giorni di prova, per non perdere la fede e restare perseveranti.
La preghiera non è vista tanto dall’evangelista come una devozione ma come l’atteggiamento fondamentale del credente che cerca di condurre la propria esistenza “in attesa della venuta” di Gesù. Si direbbe che Luca faccia coincidere la vita e il dover essere del cristiano con la preghiera, in modo da accogliere ed immergersi nell’attenzione della vigilanza che da forza e significato al presente. Pronunciando l’espressione “pregare sempre”, il vangelo non invita ad una irrealizzabile continuità materiale, ma esorta a non dimenticare mai il rapporto con il Signore come culmine fondamentale della vita di fede.
Scriverà poi sant’Agostino a Proba, una vedova credente che gli domandava indicazioni su tempi e modi per pregare (era l’anno 412):
“Noi preghiamo sempre con desiderio continuo, sgorgato dalla fede …
Più degno sarà l’effetto che sarà preceduto da un affetto più fervoroso. Perciò anche quello che dice l’Apostolo: ‘Pregate senza interruzione’ che altro significa se non: ‘Desiderate, senza stancarvi, di ricevere da Colui, che solo ve la può dare, la vita beta, che non è se non la vita eterna?’
Se dunque sempre la desideriamo da Dio nostro Signore, non cesseremo nemmeno di pregare. Ecco perché in determinate ore noi distogliamo il nostro pensiero dalle preoccupazioni degli affari per evitare che facciano intiepidire in qualche modo il desiderio e si spenga completamente, qualora non venisse ridestato con più fervore”
(Lettera 130, a Proba)
Luca riferisce con enfasi le parole di Gesù che si riferisce ai due personaggi della parabola, il giudice dal cuore duro che offende la povertà della donna, e la vedova che non ha altra arma oltre il tornare e il ritornare con insistenza.
“Il Signore disse”. È il Risorto che parla della Chiesa.
Se il giudice alla fine ha esaudito la vedova per non essere annoiato, quanto più Dio, che è il Padre buono e provvidente farà giustizia ai suoi “figli amati” che “gridano a Lui giorno e notte”?
Al capitolo 11 del vangelo di Luca, dopo aver insegnato il “Padre nostro”, Gesù aveva detto: “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro dal cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glie lo chiedono!”. (Lc.11,13)
Gesù afferma in modo appassionato, con tono autorevole: se perfino il giudice cattivo ha fatto giustizia, certamente Dio manterrà la sua parola.
Luca scrive quando le comunità cristiane sono provate dal rifiuto e dalla persecuzione e invocano senza stancarsi l’intervento di Dio. Rassicura i cristiani nella certezza che la preghiera è ascoltata dal suo Cuore paterno: perciò essi non dovranno smettere di implorare la liberazione e restare saldi nel custodire la fede. Perciò Gesù dice con autorevolezza: “Ascoltate!”.
La preghiera è innanzitutto ascolto di Dio, della sua Parola scritta o suggerita in cuore dal suo Spirito Santo.
Pregare è importante, fa custodire la fede e crescere in essa, con la certezza che “il ritardo” di Dio non è dimenticanza, ma il “frattempo” buio e doloroso prima dell’aurora del “giorno del Signore”, il giorno definitivo, da cui non bisogna distogliere lo sguardo: “Il tuo desiderio sia davanti a Dio, dice concludendo Agostino, se sempre desideri, sempre preghi!”.
Dio ascolta ed esaudisce: “Vi dico che farà giustizia ai suoi eletti”.
Bisogna che, come credenti, ci aiutiamo ad ascoltare queste parole negli eventi della vita e facciamo esperienza, e ce lo diciamo reciprocamente come vangelo vivo della presenza paterna, forte e tenera, di Dio. È la presenza che parla al cuore, che si spiega nella mente e dona orientamenti alla vita nella fede.
Luca ci parla non della dottrina sulla preghiera, ma dell’attesa di Gesù che torna per ciascuno e per tutti, che è un’attesa densa di preghiera (come quella di Maria) che scruta i segni del Signore e li accoglie come doni.
Allora comprenderemo e custodiremo nel cuore che l’importante non è tanto se e quando e come sarà l’intervento di Dio, perché Gesù non fa una domanda sulla veracità di Dio, ma sul nostro essere pronti per Lui.