XXXI DOMENICA T.O.- Anno C
(Sap 11,22-12,2; Sal. 144; 2Ts 1,11-2,2; Lc 19,1-10)
Nelle due ultime domeniche il capitolo 18 del Vangelo di Luca ci ha dato un insegnamento forte sulla preghiera. Oggi l’inizio del capitolo 19 non tratta in realtà un argomento diverso, ma ci comunica che l’incontro e l’accoglienza reciproca fra l’uomo e Dio, l’uomo e l’altro uomo, sono il frutto della preghiera. Guardiamo a questo frutto e cerchiamo di attualizzarlo nelle nostre vite, secondo l’irripetibile singolarità delle nostre chiamate. Il messaggio evangelico è rivolto a tutti. Guardiamo con attenzione le parole di Luca. Mentre Gesù attraversava la città di Gerico “ecco un uomo…”: la chiamata, l’incontro con il Signore, è dell’uomo in quanto tale, viene prima delle caratteristiche soggettive. “Un uomo” è uno di noi. Quest’uomo ha una storia, un nome, un posto nella società, una professione, ma nel suo cuore è inciso il nome che gli darà Gesù: per la sua fede egli è figlio di Abramo, e il Signore vuole “fermarsi” nella sua casa.
Nelle domeniche passate abbiamo riflettuto sulla preghiera come desiderio, oggi capiamo che questo desiderio è motivato da Gesù perché è lui a ricercare il nostro cuore, a desiderare di fermarsi con ciascuno di noi, nella nostra casa. Egli cerca Zaccheo, uomo piccolo e peccatore, ma il suo desiderio di incontrare Gesù è suscitato dal precedente desiderio di Dio. È vero che nel cuore dell’uomo c’è la nostalgia di Dio, ma è altrettanto vero che Dio ha nostalgia di noi, ha una propensione forte, quasi un bisogno nei nostri confronti: l’amore che nella Trinità unisce le tre Persone si allarga, si estende alle creature. Gesù dice a Zaccheo: “Devo fermarmi a casa tua”: è questa ricerca del Signore che spinge l’uomo a cercarlo a sua volta. Le parole di Gesù: ”Devo fermarmi” indicano la nostalgia che Dio ha per ciascuno di noi, al di là delle nostre storie personali. In questo amore che ci cerca è la radice della nostra fede.
In una bella preghiera autobiografica, Ambrogio, il santo Vescovo di Milano, vissuto nel IV secolo, che ha lasciato un’impronta forte nella Chiesa e in particolare nella sua diocesi, commentando il Salmo 119, scriveva: “Cercami, perché io ti cerco, cercami, trovami, prendimi, portami. Tu puoi trovare colui che cerchi, ti degni di prendere colui che hai trovato, ti porti sulle spalle colui che hai preso. Non ti infastidisce un peso che ti ispira pietà, non ti pesa il portarmi. Vieni, Signore, perché tu solo sei in grado di far tornare indietro la pecora errante e non rattristare quelli da cui ti sei allontanato. E anche loro si rallegreranno al ritorno del peccatore. Vieni ad attuare la salvezza sulla terra, la gioia nel cielo”.
La preghiera non è moltiplicazione di parole, ma è il gemito del cuore, che lo Spirito interpreta. Nell’incontro interiore di reciprocità con il Signore, la vita si rinnova. Luca ci dice che, dopo aver accolto il Signore nella sua casa, Zaccheo “si alzò”. “Alzarsi” è il verbo usato per indicare la Resurrezione, quella di Gesù, quella di Lazzaro. L’alzarsi di Zaccheo è conseguenza della preghiera, segno che egli ha capito che deve diventare uomo vivente. Dà metà dei suoi beni, restituisce quattro volte quanto ha frodato, perché è entrato nell’ottica del Vangelo e dà un’attenzione preferenziale per i poveri. Nel capitolo 16 abbiamo visto la condanna del ricco senza nome che non si accorgeva del povero Lazzaro, seduto alla sua porta. Forse Luca era preoccupato perché la sua comunità tendeva a chiudersi in circoli spirituali di amici, secondo il costume ellenistico, divenendo indifferente verso i poveri. Con la figura di Zaccheo spinge alla conversione. L’uomo che vive in comunione con Dio si accorge dei fratelli in difficoltà. Per lui che rimane con Gesù tutta la vita è comunione concreta: egli ascolta, passa dalla frode alla restituzione, non conosce altro che la condivisione.
A questo punto sento di dover dire una cosa delicata. È necessario ripensare il concetto di ravvedimento, che la nostra tradizione colloca prevalentemente sul piano del Sacramento della Riconciliazione. Il momento sacramentale è tutto all’insegna della gratuità, perché sottolinea la misericordia accogliente e senza riserve di Dio. Perciò, nel Sacramento, la “penitenza”, segno del ravvedimento” è divenuta solo simbolica, una piccola cosa, come la recita di una “Ave Maria”, che non ha proporzione con la gravità del peccato commesso e non impegna ad instaurare la giustizia, a riportare la verità e la pace nelle relazioni ferite. Ma ci accorgiamo sempre più che non basta la dimensione spirituale per sanare la negatività in noi, nel nostro rapporto con gli altri. Zaccheo, invece, dice: “Restituisco quattro volte” quanto ho frodato. Non solo. Se vogliamo vivere la logica del Vangelo, la logica delle Beatitudini, essa ci impegna alla condivisione. Zaccheo dà metà dei suoi beni ai poveri. Riflettiamo su questo oggi, pendendo coscienza che i beni posseduti dall’Occidente sono causa della miseria altrui. Sono furto e le teorie che lo giustificano sono una frode. Quello che viene dalla frode, personale, sociale, politica, deve essere sanato. Non basta l’Ave Maria della Riconciliazione sacramentale. Bisogna andare ed operare. Se ho tamponato una macchina, anche se mi scuso, il danno rimane e devo ripararlo. Così avviene a tutti i livelli. Lo Spirito oggi spinge alla riparazione nella condivisione. Questo avviene anche a livello laico, basta guardare all’esperienza del volontariato, tanto diffuso. Non è un sogno. Lo Spirito opera in ogni campo, ma la comunità cristiana deve sentirsi particolarmente coinvolta. Oggi con Zaccheo Gesù ci dice che cosa significa essere figli di Dio!
Ascoltiamo le parole di Chiara Lubich: nel Movimento dei Focolari la nuova socialità non è solo una teoria, ma viene vissuta nella pratica con le opere della “Economia di Comunione”: “Bisogna che l’uomo faccia riemergere in se stesso, in nome di Dio che lo ha creato, la coscienza della sua socialità, del suo essere sociale, senza la quale non sarebbe ancora completamente uomo: un altro suo elemento costitutivo, infatti, secondo la Bibbia, altre la comunione con Dio, è l’essere chiamato a provvedere il cibo e a dedicarsi al lavoro. È la socialità, cioè la comunione con gli altri uomini. E si sa che cosa significa nel pensiero di Dio socialità. Significa apertura e donazione agli altri, fino ad amarli come se stessi. Come se stessi, non di meno. Anzi, amarli con un amore che, perché parte da più persone, diventa reciproco, e, perché ispirato da Cristo, genera unità”.
Di fronte alla tragedia del mondo di oggi chiediamo al Signore la tensione del cuore verso la socialità. Non c’è Eucaristia se non diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo Spirito.
La vicenda di Zaccheo, capo dei pubblicani, è posta dal Vangelo di Luca quasi alla conclusione del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, iniziato quando egli “indurì il volto” (Lc.9,52) e si mise in cammino con decisone. Ora la meta è vicinissima. Luca unisce questo episodio a quello del cieco mendicante, quasi a voler presentare Gesù come colui che dona salvezza ad ogni genere di “perduti”, assumendo una posizione difficile da comprendere secondo la mentalità diffusa che vedeva nella malattia e nella sofferenza una sorta di maledizione di Dio. Ma egli sembra avere in cuore solo i sofferenti da salvare: così la guarigione dalla cecità diventa per il cieco il mezzo per seguire Lui come maestro di vita, per Zaccheo la fede apre gli occhi e permette di vedere il prossimo e condividere i propri beni.
Per tutti e due avviene il passaggio dalla conoscenza esteriore di Gesù all’incontro nella fede con colui che chiamano “il Signore”, il Signore risorto che accompagna l’umanità fino alla fine dei tempi. Perciò restano come modelli della fede per i lettori del vangelo. Luca ci vuol dire che la potenza di amore del Signore può liberare sia dalla malattia fisica, cronica e incurabile, sia dall’attaccamento al danaro che può bloccare la disponibilità alla conversione – come per il ricco del capitolo 18 – ma da cui l’incontro con Cristo può liberare, come accade a Zaccheo, facendone un segno di risposta positiva all’indisponibilità.
Il cammino verso Gerusalemme era iniziato – nel capitolo 5 – alla tavola del pubblicano Levi e giunge a conclusone alla tavola del capo dei pubblicani, come in una grande inclusione, di cui Luca si serve per dirci che la ricerca dei lontani, dei “perduti” secondo l’ottica prevalente della religiosità ufficiale, è l’intento positivo di Gesù. E così dovrà essere della Chiesa, come egli stesso mostrerà nel raccontare i primi passi di essa nel libro degli Atti. (In questo contesto dalla prossima settimana avverranno nella nostra chiesa incontri di preghiera con il popolo numeroso delle persone che cercano Gesù, ma non possono avere il sacramento del matrimonio).
Perciò è superfluo domandarsi come Gesù conosca il nome del pubblicano, senza averlo mai visto prima. Luca dice che l’iniziativa di colui che “cercava di vedere quale fosse Gesù” è ribaltata da quella del Signore che precede la prima e propone un rapporto diretto, un incontro personale, che fa parte di un progetto di Dio. Zaccheo voleva andare verso Gesù per vederlo passare, per vedere chi fosse, ed ecco che scopre – e noi con lui – che nella realtà era Gesù a venire verso di lui per cercarlo.
È una svolta. Cambiano i verbi. Non sono più di movimento – attraversare, passare, correre, salire; ora invitano decisamente – “devo” – a fermarsi, ad accogliere, a dimorare. Finisce l’emotività degli episodi ed inizia il tempo della vita “con” il Signore “in” Lui. L’iniziativa di Dio e la risposta di fede si concretizzano nel dimorare reciprocamente l’uno nell’altro, come dirà il vangelo di Giovanni.
È il tempo messianico della presenza del Signore nella vita di ciascuno, chiamato alla fede.
Il frutto dell’accoglienza del vangelo è lo scolorirsi del primato di quanto precedentemente si imponeva come assoluto: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri: e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.
Zaccheo si sente non espropriato da un obbligo giuridico e impositivo, ma intimamente liberato dal legame con il danaro, trasformato, e reso capace di stabilire rapporti fraterni di giustizia e di uguaglianza. Nella gioia, che è l’atmosfera che avvolge tuta la scena, egli osserva scrupolosamente quanto previsto dalla legge ebraica sulla restituzione, ma la oltrepassa e dona con generosità ai poveri.
Capisce che c’è una legge doverosa, che è prevista dall’ordinamento sociale con le conseguenze di giustizia che ne seguono, ma che c’è un oltre che appartiene alla giustizia di Dio, che non è ordinamento giuridico, ma santità nella pienezza di amore gratuito. Come dice Bonhoeffer questo oltre è l’”ultimo” in cui ha il proprio compimento il “penultimo” della giustizia umana. È la santità delle beatitudini. Zaccheo la ha sperimentata in sé, come dono ricevuto personalmente. La fa sua come linea di vita.
Così è veramente “figlio di Abramo” e perciò figlio di Dio. Perciò smette di essere “perduto” ed inizia ad essere “salvato”.
Domandiamo il dono di comprendere quali sono le realtà che hanno realmente primato di interesse e priorità di impegno nella nostra vita, e la grazia per ordinarle nella luce della vocazione ad essere figli di Dio.
Nel suo vangelo – dalla fine del capitolo 18 (vv.35-43) all’inizio del 19 (vv.1-10) – Luca racconta due incontri con Gesù, ormai vicino a Gerusalemme, con il cieco e con Zaccheo, due incontri che gli permettono di sintetizzare concretamente la missione del Signore: “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto”. La gente non capisce, mormora, ma i due, il cieco e il capo dei pubblicani, sono condotti ad un vita nuova. Per chi non vedeva, la vista recuperata è l’inizio del seguire Gesù; per chi era vissuto solo per l’interesse economico, viene la capacità di vedere il prossimo e di condividere i beni. L’incontro esteriore con Gesù si trasforma nell’incontro interiore, nella fede, con il “Signore”, nome che i discepoli daranno a Gesù solo dopo la resurrezione. Così il cieco e Zaccheo, risanati nel corpo e nello spirito, sono modelli che Luca dona per la vita nella fede.
Nella bellissima descrizione dell’incontro con Zaccheo, è detto di lui: “cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro”. Folla piccolezza, fatica. Sono gli elementi che rendono difficile l’incontro con Gesù: la folla che fa chiasso fuori e dentro di noi, la piccolezza che può diventare impedimento, la fatica che l’impegno verso il Signore richiede.
Ed è detto da Gesù: “Oggi devo fermarmi a casa tua” e poi: “il Figlio dell’uomo, infatti, è venuto a cercare…”. Due tensioni nella ricerca: il desiderio dell’uomo e l’iniziativa di Dio si incontrano. Non è solo una sincronia come per un appuntamento, ma una sintonia profonda e misteriosa del cercarsi reciprocamente. Così Gesù rivela il suo desiderio di rapporto diretto con l’uomo; Zaccheo voleva andare verso di lui per vederlo passare, per “vedere chi era Gesù”. Ed ecco che viene a comprendere – e il lettore con lui – che in realtà era Gesù che veniva a lui per cercarlo, per alloggiare nella sua casa e nella sua esistenza. Agostino lo sperimentò nella sua vita: “Eri con me e non ero con te”, scrive nelle Confessioni.
Comprendiamo che l’incontro con la grazia della fede suppone l’iniziativa dello Spirito di Dio e la libera volontà dell’uomo.
Le parole che Luca predilige fin dal racconto dell’infanzia tornano: “oggi”, “devo”, “rimanere”, “pieno di gioia”. Sono vocaboli del Natale, per dire che la conversione al vangelo è una nuova nascita, un inizio che si esprime nel fare subito – “in fretta” come Maria quando, dopo l’annunciazione, va da Elisabetta – quello che Gesù domanda, un Gesù che lo ha cercato, amato, accolto. Davanti a Gesù Zaccheo è diritto, in piedi, risorto, si scopre con il cuore trasformato, capace di aprirsi ai bisogni del prossimo e di avere rapporti fraterni, di uguaglianza.
Per Luca questo “cuore nuovo” dovrà essere l’intimità dei discepoli, in modo permanente, continuativo, come espressione della libertà, ricevuta dall’iniziativa di Dio, libertà dalla preoccupazione di sé e delle proprie sicurezze. Luca pensa alla fede che si fida, radicalmente, fino in fondo, e perciò diventa capace di creatività. Il libro degli Atti degli Apostoli sarà lo specchio di questa libertà creativa, di questa fede attiva fino alla condivisione dei beni. La anticipa nella vicenda di Zaccheo: “Oggi la salvezza è venuta per questa casa”. L’oggi è il momento dell’incontro che salva, il momento della decisione di uniformare la propria giustizia a quella di Dio, di farsi segno del Regno che si sta realizzando.
Ancora un evento di misericordia che accade in un istante, come un momento di Dio. Ancora la vicinanza di Gesù ad un uomo peccatore, una vicinanza che arriva ad alloggiare in casa sua. Ancora il segno di Dio che ama l’umanità ferita dalla colpa, che prende la colpa su di sé nella condivisione, annunciandosi come Colui che, per salvare, cerca e suscita – precedendola – la ricerca umana. Perciò un Gesù che prende l’iniziativa, senza preoccuparsi del codice morale che esclude Zaccheo dal novero delle persone perbene. Il rivolgersi direttamente e confidenzialmente all’uomo che lo cerca è molto più eloquente di una predica infarcita di rimproveri e accuse.
È una grande lezione del Signore, per ciascuno di noi e per la Chiesa: Gesù è “il Signore”, maestro con la propria vita.
Senza sottovalutare il peccato e la colpa, vuole che la misericordia preceda il pentimento. vuole che il peccatore sappia che Dio non lo ha rifiutato, ma lo ha accettato ed accolto.
Sarà proprio il sentirsi accolto a suscitare in Zaccheo, che probabilmente era un usuraio, l’invito a corrispondere, alla reciprocità che conduce alla riconciliazione con se stesso, con il prossimo defraudato, con l’armonia della creazione violentata dall’egoismo in cui aveva speso i suoi giorni. Reciprocità concreta, restituzione fino al quadruplo di quanto aveva guadagnato nella passione dell’arricchimento, donazione della metà dei suoi beni in una ricerca della giustizia, “ perché – commenta sant’Ambrogio – la liberalità non ha merito qualora persista l’ingiustizia … Nessuno vede Gesù senza fatica, nessuno riesce a vedere Gesù standosene per terra”
Il saggio che racconta sinteticamente le vicende del popolo ebreo nell’Esodo, si rende conto della presenza fedele di Dio in esse, nonostante i tanti episodi e comportamenti negativi non solo ad opera di quanti erano nemici ed avversavano l’insediamento di questo stesso popolo sul territorio ritenuto loro, e a buon diritto. Lo scrittore, a un certo punto, è come costretto a fermarsi per esprimere la propria stupita riconoscenza con la preghiera di lode: “Hai compassione di tutti perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono”. Il sapiente è costretto dal ricordo degli avvenimenti a lodare Dio con gratitudine, modificando la concezione corrente inesatta.
A volte anche noi siamo un po’ superficiali nell’attribuire al Dio dell’Antico Testamento l’onnipotenza nel rigore e nella punizione, al Dio del Nuovo Testamento la compassione e il perdono. In realtà non c’è contraddizione nella manifestazione di Sé, anche se le espressioni si sono andate affinando nella gradualità della rivelazione. L’autore ripensa le caratteristiche dell’onnipotenza, non la identifica l’onnipotenza con la forza, ma con la scelta di ampliare il tempo della giustizia, perché si faciliti il pentimento e la riconciliazione per approdare a nuovo patto e non smettendo di amare la creatura anche se nel peccato e nel rifiuto di Lui.
È la scoperta, carica di emozione, che emerge nelle pagine di Luca, al capitolo 19. Zaccheo scopre che Colui che sta cercando di vedere, lo sta cercando già di propria iniziativa e si propone come uno che desidera fermarsi a casa sua. È un Dio che sente la mancanza di lui e si sta guardando attorno per vederlo. Un Dio a cui Zaccheo manca, come se fosse l’unico da amare.
L’autore del libro della Sapienza scopre che questo amore raggiunge tutti, donne e uomini del suo popolo, e propone sempre nuove modalità di speranza e di pace, sempre nuovi spazi di alleanza. Ne trae conseguenze concrete: “Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini e hai dato ai tuoi figli la buna speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento” (Sap.12,29, fuori dal brano liturgico). Il saggio scopre che l’onnipotenza di Dio si manifesta non nella forza e nella spettacolarità dei prodigi, ma nell’amore misericordioso.
Zaccheo, nel Vangelo, intuisce la verità che gli viene offerta, l’avventura divina di poter condividere l’onnipotenza di Dio nella misericordia che riporta la vita dove la morte sembrava aver vinto. Perché, diranno i cristiani: “Siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli” (1Gv.3.14).
L’esperienza che Zaccheo vive lo trasforma: l’amore che è venuto in cerca di lui, il desiderio immediato di condividere i suoi beni, di fare del resto dei suoi giorni una restituzione del maltolto, sono i segni della trasformazione. Tutto diventa amore che cerca i fratelli, che comincia a guardarli con quel “guardare in alto” del Signore che gli ha detto: “Oggi devo fermarmi a casa tua”. Poche parole indicano la radicalità di questa trasformazione: scendere, fretta, oggi, accogliere, gioia… Tutte parole che dicono apertura di sé a Gesù e concretezza di atteggiamenti che permettono l’attuazione del fermarsi del Signore. In poche ore la sua casa non è più l’ambiente cupo dove si accedeva per motivi fiscali, con lo sguardo diffidente e la paura in cuore, ma è la dimora calda e cordiale per gli amici, casa della gioia riconoscente, nel perdono ricevuto e donato, che lascia dietro di sé l’impaccio delle cose.
Impariamo che l’amore non abbandona, ma ammonisce, attende, richiama.
“Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci, ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore”. Così conclude il Saggio di Israele (Sap.12,2).
E Luca ne mostra la realizzazione e l’attualità nella bella pagina di oggi, che con la sua manifestazione più sublime ritroveremo nel racconto dell’amore misericordioso per il ladro che muore con Gesù (Lc.23,43).