X DOMENICA T.O.- Anno C
(1Re 17,17-24; Sal. 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)
Il capitolo 7 di Luca racconta due guarigioni prodigiose che permettono a Gesù di dare una risposta concreta e verificabile a Giovanni Battista che, dalla prigione in cui era detenuto, gli aveva inviato due discepoli perché gli domandassero di dire con chiarezza se fosse “Colui che deve venire”. E il Signore risponde: “Andate e dite a Giovanni” – ed enumera le opere grandi che Isaia aveva profetizzato (Is.61) e che ora si stanno compiendo in Lui.
Il vangelo, in questo contesto, racconta la guarigione del servo del centurione, che “aveva molto caro” il suo dipendente, il quale ora era sul punto di morire, e di seguito il ritorno alla vita ordinato da Gesù del figlio giovane della vedova di Nain. Luca da ai due racconti un significato più profondo della nuda dimostrazione di potenza sulla morte, imminente o già accaduta. Non si tratta solo della potenza di intervento di Dio, ben conosciuta e sperimentata dal popolo ebreo nella sua vicenda lunga di elezione e di contrasti drammatici, ma soprattutto della rivelazione della “compassione” di Dio in Gesù che conduce alla gioia della scoperta: “Dio ha visitato il suo popolo”.
I miracoli manifestano la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, il suo amore misericordioso diventa visibile, riscontrabile nella compassione del Figlio che si muove incontro ai più deboli, infelici, bisognosi. Perciò l’attenzione è soprattutto sulla donna, che non solo è vedova, ma ha perduto il figlio unico e perciò il proprio conforto, la ragione della propria vita, e della propria speranza. A lei Gesù si rivolge, la sua situazione lo sconvolge fino alle viscere e alla condivisione del pianto, come uno che sa cos’è il dolore della perdita di un figlio unico, sa di essere il Figlio perduto per amore dal Padre che lo ha donato in uno svuotamento infinito, in un abisso di dolore. Condivide perciò il dolore e vuole che torni la vita e la gioia della relazione materna e filiale, perciò ordina alla morte di fermarsi ed al ragazzo di tornare con la mamma.
Nel suo fremere intimo è coinvolto tutto il suo essere: Luca perciò propone la compassione come il dirsi di Dio agli uomini, la rivelazione della sua interiorità paterna e materna. Non indugia molto nel riferire i sentimenti intimi di Gesù, ma lo fa ora per dire l’intensità della partecipazione di Lui usando il verbo che dice intensità come nelle parabole del samaritano al capitolo 10, del padre misericordioso al capitolo 15 e in questo racconto della madre vedova. Compie i gesti suggeriti da viscere materne, si avvicina, tocca la barella, comanda alla morte, ridona la parola, segno del ritorno alla vita. La folla reagisce con la coralità gioiosa e riconoscente, capisce che l’assenza dei profeti è finita, che “Dio ha visitato il suo popolo”.
Oggi, mentre da un lato l’uomo sembra disinteressato di Dio e dall’altro appare prigioniero dell’angoscia e sconfitto da quello che non può assoggettare a sé e ai propri mezzi, nella Chiesa si impone la riflessione su come annunciare e proporre la fede non tanto come adesione ad una serie di verità astratte, di norme e tradizioni, ma come un incontro, una relazione nella attrattiva reciproca, come esperienza che penetra la vita, nell’accoglienza della parola e dei gesti donati e testimoniati da Cristo. Il vangelo della compassione di Gesù è risposta attualissima a questa sfida che si ripresenta nel contrasto tra presunzione di autosufficienza e gemito per l’oscurità della mente e del cuore.
È urgente, sempre più esplicitamente cercato, quell’incontro con Gesù che ha compassione del dolore; che si avvicina perché chi lo vive non sia condannato alla solitudine; che tocca il cuore per assicurare di essere amato a chi si ritiene non amato. La fede deve essere questo incontro reale con Gesù, altrimenti non avrà più niente da dire a nessuno.
Per un credente che abbia la passione per l’umanità – e dovremmo essere tutti appassionati per le donne e gli uomini del nostro tempo – la fede è reciprocità con l’Altro nell’altro, che è il prossimo che ogni giorno incrocia il suo cammino.
Credere è fare dono della propria persona all’Altro nell’altro.
Con quello stesso amore di Cristo, accolto e rivissuto nei piccoli e grandi gesti della compassione, che permettono a Lui di indicare Dio. Questa presenza di Cristo stesso si attualizza e si rende viva ovunque e con chiunque. Non è detto nel Vangelo che la vedova abbia pregato, forse lo avrà anche imprecato, ma è detto che Dio l’ha amata nella compassione di Gesù.