XIII DOMENICA T.O.- Anno C
(1Re 19,16.19-21; Sal. 15; Gal 5,1.13-18; Lc 9,51-62)
Rivolgiamo innanzitutto il nostro sguardo a Gesù: è lui il Vangelo. Ci dice Luca: “Mentre stavano compiendosi i giorni …”. Forse è meglio leggere: “mentre stavano per iniziare i suoi giorni”. La parte finale della vita di Gesù è l’inizio di qualcosa che si completa, che si riempie fino all’orlo. È il manifestarsi pieno di Gesù Cristo, come Figlio di Dio donato dal Padre all’umanità. Compiersi significa anche concludere, concludersi in pienezza. Il compiersi della vita di Cristo è crescita verso l’adesione sempre più totale alla volontà del Padre, il Padre da cui egli viene, che gli parla, che lo conduce, quale unico vero cibo di tutto il suo esistere, l’unico suo traguardo. Il compiersi dei giorni della vita di Gesù è atto di obbedienza piena, obbedienza di amore al Padre. Non è il rassegnarsi ad un declino, ma crescita verso l’incontro definitivo.
I versetti di Luca richiamano quelli del capitolo 50 di Isaia, dove si dice che il Servo: “Indurì la faccia”. Viene indicata così l’atteggiamento di tutta la persona, nella coscienza del proprio dovere, nella volontà di portarlo avanti fino alla fine. Con decisione Gesù camminava avanti ai suoi discepoli. Egli suscita il nostro stupore, perché sappiamo che egli stava affrontando così la propria morte. Vediamo qui i discepoli coinvolti nel cammino verso Gerusalemme, in compostezza e decisione. Luca identifica il compiersi della vita di Gesù proprio in questo suo camminare verso Gerusalemme, come meta finale, luogo di pace, dove ciascuno è chiamato al discepolato, come cammino di crescita alla sequela di Gesù. Il destino del Maestro che chiama e del discepolo che è chiamato, sono in comunione strettissima. Luca ci delinea la figura di tre discepoli, non ce ne dice il nome, né la modalità della risposta alla chiamata. Chi sono? Ciascuno di noi può riconoscersi in loro, nell’avvertire che il Signore lo interpella. La vita di fede è rapporto personale, intimo, coinvolgente, con Gesù, è un rapporto tu a tu. Forse qualcuno ricorderà il passo del Vangelo di Giovanni che ci descrive l’incontro di Gesù Risorto con Pietro, sul lago di Tiberiade. Pietro aveva rinnegato il Maestro, era fuggito. Ma egli lo accoglie con tenerezza, con sollecitudine. E quando lo vede sereno, per tre volte gli domanda: “Mi vuoi bene?”. È un colloquio tu a tu. E conclude con un imperativo esigente: “Seguimi!”.
Il viaggio verso Gerusalemme non è una realtà geografica, ma un luogo teologico. È il viaggio verso Dio che ogni discepolo deve compiere nella vitalità del suo rapporto con Gesù. Spesso si inizia con entusiasmo, perché appare pieno di fascino: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Ma poi il cammino si fa lungo e si presentano le difficoltà. I Samaritani respingono il Signore. Emergono le preoccupazioni affettive, il padre da seppellire, quelli di casa da salutare … Sopravviene allora il periodo della stasi, della mediocrità, che non si concilia con il dinamismo dello Spirito. Viene il momento in cui anche per il discepolo diventa necessario indurire il proprio volto. La possibilità di seguire Gesù va cercata solo in Gesù. La possibilità di non venir meno, di non voltarsi indietro ci è data solo se nella nostra libertà personale scegliamo Lui.
Questa liturgia è segnata dalla memoria riconoscente della mia personale vocazione. È una memoria che risale lontano, alla tragedia della guerra. Come famiglia avevamo molto sofferto. Siamo stati sfollati. Nei giorni dello sbarco a Salerno abbiamo perduto un fratellino di otto mesi. Nostro padre fu portato via dai tedeschi. Poi, a Napoli, trovammo la nuova realtà. Nel ’45 – ero in prima liceo all’Umberto – ho visto dal balcone un soldato occupante, che voleva violentare una ragazza. Ho capito allora che gli uomini non possono dare la pace. Ho detto a mio padre la mia scelta e gli devo tanta riconoscenza per la sua immediata comprensione.
Sono stato ordinato Sacerdote nel ’54, l’anno dedicato a Maria. Andavo capendo sempre meglio quanto dice Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi: “Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”. Fui inviato alla Chiesa di S. Agnese in via Nomentana. Maria mi attendeva in modo tutto particolare. Conobbi Gino e Lucio del Movimento dei Focolari e ne incontrai la spiritualità. Scoprii il fascino di un sacerdozio che privilegiasse i rapporti: non la forza delle strutture, ma le relazioni personali. Come Maria: premura per tutti, senza gesti straordinari. Una scoperta che mi ha costantemente seguito. Dopo dieci anni, nel ’64, fui parroco qui per diciotto anni. Poi diciotto anni al servizio della nostra famiglia religiosa.
Tutto qui. Il Signore non ha voluto che guardassi indietro con nostalgia. Andare indietro con la memoria rende più viva la misura della sproporzione con l’amore di Dio. Ma lui non ha smesso la sua fedeltà ed ha supplito. Perciò tanta riconoscenza e l’invito a voi perché la condividiate con me. Non ho voluto solennità né regali, non per puntiglio, ma perché prevalesse la riconoscenza. Ricordiamo invece – con il vostro concreto contributo – i fratelli del Centro Africa, dove sta andando don Sandro, con un altro confratello. Lì è la Gerusalemme, lì sono i confini della nostra Chiesa.
Benediciamo il Signore!
“La missione e il fuoco dal cielo”, si potrebbe intitolare così il brano del vangelo di Luca, all’inizio della sezione che comprende i capitoli 9-19 con il racconto del “grande viaggio” di Gesù verso Gerusalemme. Non è un diario scandito dai luoghi e dai giorni, ma la narrazione che accompagna il cammino del Signore verso la sofferenza e permette di rivivere il compimento dei giorni “in cui sarebbe stato elevato” in alto sulla croce e, ancora più in alto, “alla destra di Dio”. È un cammino che insegna, come se Gesù volesse aprire la sua via ai discepoli e proporsi a loro come modello da imitare per percorrerla.
Luca offre alla meditazione dei fedeli due immagini, quella della ferma determinazione di Gesù nell’iniziare a camminare verso Gerusalemme e quella dell’incontro con tre persone, due che si offrono, una a cui lui stesso offre di seguirlo.
Gesù appare completamente preso dalla decisione ferma di portare a termine la propria missione fino alla conclusione drammatica della passione: “Rese duro il suo volto”. E Luca racconta che il cammino, fin dall’inizio, appare di sofferenza concreta per il rifiuto di un villaggio di samaritani, ostili a Gerusalemme e al tempio. Il rifiuto di accoglierlo suscita la reazione veemente di Giacomo e Giovanni, i due fratelli apostoli sempre molto vicini al Signore, che vorrebbero l’autorizzazione a domandare il fuoco vendicatore sul villaggio, segno di punizione divina, come era accaduto al tempo del profeta Elia (2Re,1,10).
Ma Gesù è più di Elia. Ed egli unisce la sofferenza del rifiuto a quella dell’incomprensione degli apostoli, e ribadisce che la sua missione non è quella di condannare e i suoi seguaci non dovranno minacciare l’inferno a quanti non accolgono il suo insegnamento. Quasi come in un testamento, alla luce della croce imminente, dice di essere molto più dei profeti che lo hanno preceduto e afferma che l’avvicinarsi di Dio all’uomo non avviene mai nel segno della forza, con
il fondamentalismo che presume di avere la verità intera e usa il pugno del giustiziere. Egli si definisce “mite e umile di cuore” (Mt.11,29). I Dodici, quando la Chiesa muoverà i primi passi per la testimonianza ai popoli, ricorderanno che il Risorto, nel momento del saluto nel giorno dell’Ascensione, aveva i samaritani nel cuore e aveva domandato che lo testimoniassero anche tra di loro (Atti 1,8)
Il sì di Gesù al cammino verso Gerusalemme appare strettamente legato con la coscienza della dimensione universale di esso; quel cammino è la rivelazione dell’amore di Dio per l’uomo, del singolo e dell’umanità intera. Lui vuole legarsi a questo amore e si offre liberamente, indurendo il volto, alla “via”.
Bisogna imparare ad essere riconoscenti, a stargli vicini con il cuore.
L’insegnamento del Signore coinvolge i discepoli nella sua “via” nuova che egli inaugura con l’offerta di se stesso per il bene di tutti. Perciò i suoi dovranno ricordare e testimoniare tutto quello che egli dice e fa nei giorni del suo “compimento” e farne il loro programma di vita lungo la storia. Sarà la “via di Gesù”.
Luca inserisce qui due piccoli incontri sul tema del “seguire il Signore” perché il lettore rifletta sulla serietà della chiamata e della risposta. Si tratta di condividere il destino e lo stile di vita del Maestro, di scegliere una vita non comoda, dietro ad uno che non ha patria, né alcuna sicurezza fisica o affettiva. La Chiesa non ha mai inteso il “non avere dove posare il capo” come una condizione materiale da imporre ai credenti, consapevole che dall’inizio molte comunità nacquero nelle case, anche di possidenti. Ma l’essere “nel Signore”, in profondità di unità con il suo ministero e il suo stile di vita, genera la coscienza del primo posto del volere di Dio su ciascuno; e questo può significare secondarietà degli altri beni, compresi quelli affettivi, e diventa possibile solo se si è disponibili a Dio come Gesù che si “lega”, senza restare “inerti”, come “morti” per la paura. Gesù non annulla il quarto comandamento, che ha vissuto a lungo nella sottomissione filiale, ma ordina ogni realtà alla luce di quel primo posto di Dio che la fede ebraica e cristiana professa ogni giorno: “Ascolta, il Signore Dio tuo è l’unico Signore”.
Nei secoli il Risorto domanderà ai discepoli che egli stesso chiama, di farsi segno di questa priorità. Non dovranno porre limiti al loro sì, guardare indietro, ma accettare di poter essere chiamati a scelte eccezionali di vita eccezionale per essere segni credibili della straordinaria verità dell’amore universale di Dio. Luca propone queste esigenze del Signore a tutti i credenti, invitando a riflettere sulla scelta di seguirlo, non tanto in questo o quello stato di vita, ma nel suo comportamento di obbedienza a Dio prima di tutto, compiendo la sua volontà, rivivendo con pazienza e pace la sua via.
Le parole di Gesù mantengono la loro attualità e Gesù continua a rivolgerle a donne e uomini, domandando che ne siano testimoni.
Sono i “viandanti” della “via di Gerusalemme” in ogni tempo.
E ne nasce, come da una sorgente, impensabile al pensiero umano, la luce dell’appartenenza della creatura al Creatore, dei discepoli legati al Maestro per il Vangelo di sempre.