III DOMENICA T.O.- Anno C
(Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal. 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21)
Luca inizia la sua opera con un prologo, con parole precise e stile attento di persona colta: Luca proveniva dalla cultura ellenistica, era medico, molto probabilmente non aveva incontrato fisicamente Gesù, ma aveva conosciuto Pietro e Paolo, e forse aveva letto il Vangelo di Marco. Si capisce la sua intenzione a rivolgersi ad un ambito vasto, perché la storia di Gesù appartiene alla storia del mondo (1,1-4). Non gli importa di nominarsi, ma sottolinea di aver tenuto presente quanti hanno cominciato a raccontare Gesù, in particolare Marco e la fonte Q conosciuta da Matteo, e alte fonti che egli stesso ha cercato. Parla di questi discepoli come “testimoni” e “ministri della parola”, perciò gli apostoli, quelli che hanno vissuto con Gesù durante la vita pubblica, prima e dopo la Resurrezione. Secondo la tradizione egli ebbe anche molta familiarità con Maria – di cui avrebbe fatto il ritratto, che ritroviamo in molte icone: questa sua familiarità gli ha reso possibile raccontare, unico fra gli Evangelisti, gli eventi dell’infanzia del Signore.
“Testimoni” e “ministri della Parola” sono la continuità fra l’evento Gesù e la Chiesa: per mezzo di loro i fatti e gli insegnamenti di Gesù diventarono “la Parola”, che è il soggetto di tutta l’avventura della comunità cristiana, come dirà in Atti.
Luca presenta il suo lavoro come un “resoconto ordinato”, basato su “accurate ricerche”, che partono “fin dagli inizi”, perché il lettore possa avere certezza della solidità dei fatti e degli insegnamenti.
La fede, sembra dirci, riposa su fatti precisi, nei quali Dio si è manifestato, e sui comportamenti storici di quelli che li testimoniano, anche se lui non li ha conosciuti direttamente. Così la persona cui si rivolge, l’ “illustre Teofilo” e quanti lo leggeranno, potranno avere certezza di quanto raccontato, in un’epoca in cui, col passare degli anni dai fatti, iniziavano i primi dubbi cristologici.
La seconda parte del Vangelo odierno, Lc.4,14-21, ci mostra Gesù nella sinagoga di Nazaret: il suo è come un discorso programmatico, in cui sono condensati i tratti principali della predicazione del Signore. Non è tanto un’esortazione alla conversione, ma l’annuncio solenne che “oggi” la salvezza di Dio è arrivata nella sua persona, in cui si realizza la Scrittura nella profezia del capitolo 61 del libro di Isaia. Egli è il Verbo di Dio incarnato, la Parola fatta uomo. È lo Spirito ricevuto nel battesimo al Giordano che lo spinge verso il compito a cui è destinato con una consacrazione, ragione della sua vita. Questo compito è la “liberazione” da quanto opprime l’uomo: Luca vede l’intera missione di Gesù, il suo operare e insegnare, come un evento di affrancamento, di liberazione dai mali fisici e sociali, dall’egoismo, dalla sete di possesso, dalla mancanza di comunione con Dio. Dovunque l’uomo soffre c’è l’urgenza della liberazione e Gesù la porta. Lo dice anche la solennità dei suoi gesti.
È una salvezza per l’uomo intero quella che Gesù porta e Luca sottolinea. Gesù la porta attraverso la Parola che cambia i cuori e le situazioni, perché è abitata dallo Spirito. Per Luca il Regno non viene da avvenimenti travolgenti, che irrompono nella storia con capovolgimenti radicali, ma per il Vangelo che fa sentire i suoi effetti nella storia. Questi duemila anni sono punteggiati di persone folgorate dal Vangelo, che ha cambiato la loro vita.
Così racconta Agostino del momento di concitazione per la spinta a leggere:
“Afferrai il libro, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi.. Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi di certezza, penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono” (Confessioni VIII,12,29).
Così Antonio di Alessandria, così Francesco di Assisi, Teresa di Calcutta e tanti. La vita cristiana nasce dalla docilità della mente umana, che ascolta e accoglie la Parola per tradurla nella concretezza della vita.
Gesù dice “i poveri”. È l’espressione sintesi dell’attenzione privilegiata di Gesù, nelle diverse situazioni, che vengono descritte, in cui vive l’umanità. Gesù, dice Luca, inizia effettivamente il suo ministero di liberazione “oggi”, nel suo presente storico, partendo dai poveri dell’oggi della sua vita. Come se dicesse dopo aver letto: abbiamo sentito che cosa è scritto. Mi metto a vivere così. Luca perciò propone l’oggi del Vangelo al presente del lettore, nella concretezza di questo presente, così come è sentito e vissuto da Gesù.
Secondo gli esperti del linguaggio, “povero” sarebbe colui che è “piegato dalla necessità” di chiedere l’elemosina, che non ha autonomia, ma bisogno di essere aiutato, perciò piegato ulteriormente nella paura che ogni sudditanza suscita. Questa condizione, subita con sempre minore disponibilità alla passività, “oggi” induce ad atteggiamenti di rivendicazione. Per questo non si può pensare alla liberazione dalla povertà senza impegno di lotta all’ingiustizia e affermazione della giustizia. La Chiesa “oggi” sente con forza che il suo rapporto con i poveri non può privilegiare solo l’aspetto assistenziale. Gesù non è venuto solo per lo spirito, ma per l’uomo intero, scuola, società e lavoro, anche campi sportivi. Vi sono responsabilità e compiti che riguardano l’impegno sociale e politico, ma ve ne sono anche che toccano mentalità e atteggiamenti concreti. A volte anche nelle comunità cristiane, il non poter risolvere i problemi significa rifiutare le persone, respingendole. Così i problemi restano e le persone stanno sempre peggio. Lo testimoniano gli avvenimenti dolorosi di questi giorni nella nostra città.
Per la comunità cristiana che ascolta il Vangelo di Gesù in Luca, e lo vive, prima di essere poveri, si è persone. Di qui la fine delle classificazioni, l’educazione a leggere i bisogni, la consuetudine alle relazioni semplici sulla strada e nel quartiere, il sentirsi sentinelle e voce dei diritti altrui.
L’età adulta di Gesù coincide con il suo scendere per strada.
Per il cristiano, oggi, deve significare cittadinanza adulta, capace di dare alla carità la forma della giustizia, e alla giustizia il sapore fraterno e caldo dell’amore.
Che questo possa essere vero almeno un poco nelle nostre esistenze.
Luca apre il ministero vero e proprio di Gesù con il racconto della visita a Nazaret. È una scelta consapevole che pone l’inizio dell’attività pubblica di Gesù là dove era l’origine di Lui: a Nazaret Maria aveva accolto l’amore ed era diventata “ancella”, aveva visto la trasformazione del suo sangue in quello di Gesù, aveva meditato le parole centrali del Magnificat. Così questa visita appare come un’inaugurazione, segnata dal gesto del libro e dalle parole che traspariscono le caratteristiche della sua missione e del suo destino di uomo di Dio acclamato e rifiutato. Questa prima pagina del cammino del vangelo invita a riflettere sul mistero dell’uomo che può fare resistenza al suo Dio, e sul mistero di Dio che non desiste, ma continua ad essere fedele all’uomo con sempre nuove possibilità. Le caratteristiche del ministero di Gesù si riveleranno non solo sue, ma anche di quelli che aderiscono a Lui come discepoli nel corso della storia: anch’essi dovranno affrontare fatica e persecuzioni, come appare da subito nel cammino della Chiesa.
La scena di Nazaret, descritta con accuratezza, appare perciò come “un vangelo nel vangelo” e porta in sé la vocazione insita nella parola “oggi”, che ci coinvolge tutti e ci dice cosa significhi essere discepoli del vangelo. “Oggi” è il momento di Dio nella persona di Gesù. Oggi a noi è data una vita sola, che è tempo di grazia per vivere da figli nel Figlio.
Quest’oggi è il compimento che si svela nella sinagoga, nel giorno festivo ebraico, dove – sottolinea Luca – Gesù si reca “secondo il solito”, fin da bambino. Così viene messa in luce la continuità del primo Testamento con il secondo; del servizio compiuto da Giovanni Battista con la predicazione di Gesù; la fedeltà del Signore alla religione di Israele come era avvenuto per i personaggi dell’infanzia, e come avverrà poi con i primi discepoli e con Paolo. Nella fede cristiana non c’è rinnegamento di qualcosa, ma coscienza che dalla pianta antica è germogliato un frutto che è ora maturo.
I gesti solenni di Gesù sono come una cornice sacra in cui appare chiaro il progetto di Dio nelle parole di Isaia. Lo Spirito è protagonista : è venuto su di Lui nel momento del battesimo, come una consacrazione che ora comincia ad essere svolta. Il suo segno concreto è la liberazione. Luca non distingue tra spirituale e materiale. Vede tutta la missione di Gesù, il suo operare ed insegnare come un’opera di affrancamento dai mali fisici e morali, liberazione dall’egocentrismo, dalla smania di possesso, dalla lontananza di Dio. Luca ci dice che Gesù porta la salvezza nella sua interezza, che ama l’uomo nella sua realtà concreta di altezze e di miserie, di elevatezza spirituale e di caducità umiliante. L’annuncio del vangelo è fondamentale, perché la Parola ha in sé la forza dello Spirito e può realizzare quello che annuncia. Perciò i primi destinatari della missione sono i poveri, quelli che non hanno potere per trasformare i desideri, le ansie, i diritti in possibilità reali. A loro è annunciato un giudizio che non è il dramma della condanna per l’incapacità, ma “un anno di grazia”, un tempo in cui le promesse si realizzano.
L’umanità è detta tutta, attraverso le parole di Isaia, con quattro aggettivi: povera, prigioniera, cieca, oppressa, come quattro situazioni dell’uomo decaduto. Ad essa Dio viene incontro nel Figlio con quattro atteggiamenti: portare ai poveri l’annuncio, proclamare ai prigionieri la libertà, donare ai ciechi visioni nuove, ridonare nella fraternità spazi agli oppressi. Identificandosi con quelle parole, dicendo con solennità: “oggi si è compiuto”, Gesù si pone nel cuore dell’umanità, dove l’uomo è meno uomo, dove la sua dignità non è riconosciuta, come sorgente e lievito di una realtà impensabile se non attuata da Dio stesso, attraverso “l’anno di grazia del Signore”. Luca dice che quello è il posto della Chiesa come sacramento di liberazione.
“Riavvolse, riconsegnò, sedette … gli occhi fissi su di lui …’oggi’ “.
È un clima sacro e solenne di rivelazione. È l’inizio del vangelo.
È un Gesù bellissimo, affascinante come nessun altro!
“Oggi” è già salvezza, perché Gesù è il compimento, come aveva detto Simeone. Tutto quello che legge nel rotolo si compie nel suo “oggi”, appartiene a Lui, che perciò non deve più essere atteso, ma accolto. In questo senso anche la spiegazione intellettuale del vangelo, la conoscenza astratta della fede, è superata, perché Lui è presente e vive in pienezza. Il suo tempo storico, il tempo lungo della Chiesa, il tempo faticoso del compimento, tutto è insieme, contemporaneamente, il tempo pieno di Lui, l’unico.
Non c’è un dopo Gesù.
Perciò Ambrogio di Milano diceva: “l’oggi di Gesù è l’anno del Signore esteso a tutti i secoli futuri”. Gesù è contemporaneo di ogni uomo, memoria e presente coincidono, come storia e attualità.
Noi siamo nell’oggi del Risorto, perciò nell’oggi della sua Parola e della sua presenza attiva: è la ragione per cui ha lasciato i sacramenti, in particolare l’Eucarestia. Perché in essa noi ci fermiamo a ricordarlo in un tempo non più suo, ma riceviamo energia e vita dal suo Spirito per continuare a coniugare i verbi dell’anno di grazia del Signore.
Luca pone l’episodio di Nazaret all’inizio della predicazione di Gesù, come per offrirne una sintesi con le parole di lui stesso, pronunciate pubblicamente da lui e scritte successivamente nel vangelo “dopo ricerche accurate”, perché il lettore possa essere certo della “solidità degli insegnamenti”.
In questo “anno della fede” la liturgia domenicale è un invito a rinnovare la certezza intima della verità oggettiva che il vangelo propone e all’impegno personale per una maggiore consapevolezza del dono ricevuto nel battesimo. Possiamo tentare di entrare nell’esperienza commossa del popolo ebreo descritta nella prima lettura, quando, al rientro dalla lunga deportazione, si trovò a dover affrontare i problemi della ricostruzione materiale e soprattutto a radicarsi nella fede in Dio, rimotivandosi dopo gli anni della depressione. Anche il nostro è un tempo di ripensamento della vita culturale e sociale, tanti avvertono l’esigenza di non lasciarsi soffocare dalla notte oscura del pessimismo, della negazione di ogni tentativo di positività; tanti credenti avvertono il bruciore delle piaghe sociali, il desiderio di misericordia e di darsi e testimoniare risposte evangeliche.
Andiamo con ordine.
Dopo la premessa, Luca racconta il ritorno in Galilea di Gesù, pieno dello Spirito che lo aveva testimoniato al Giordano. Un ritorno ricco di incontri con la gente che lo ascoltava ammirata e riconoscente, fino ad arrivare a Nazaret “dove era cresciuto”. Qui decide di manifestarsi pubblicamente come colui che compie le promesse antiche: “Oggi – dice – si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Quale Scrittura? Aveva letto un brano di Isaia, tratto dal capitolo 61, scritto al tempo del ritorno dall’esilio, tempo di ricostruzione e di rinnovata fiducia. “Oggi” è la parola che invita a non limitarsi a pensare alla promessa di Dio come ancora lontana, in un domani di cui non spunta mai l’alba, perché nella sua persona si sta attuando il compimento di esse. Lui, Gesù, è la parola profetica, lui la spiega e la vive fasciando le piaghe, consolando gli afflitti, liberando dalle oppressioni. Lui, Gesù, non è solo l’annunciatore, ma il realizzatore dell’annuncio; non è il giudice che viene per condannare, ma il presente “oggi” per salvare, redimere, donare novità di vita.
Luca vuol dire al lettore del suo vangelo che, per comprendere le parole di Gesù, che attuano le promesse di Dio, bisogna ascoltarlo in silenzio e lasciare che si spieghi. Perciò annota, indicandoci l’atteggiamento da apprendere e mantenere nel cammino di fede: “Gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui”. Al termine del vangelo, i discepoli di Emmaus, fuggiaschi e demotivati, comprenderanno la croce e riconosceranno il Risorto, lasciando che egli spiegasse loro le Scritture (Lc.24,32). È ancora un invito a trovare lo spazio per l’ascolto fiducioso e docile, nel tempo che ci è dato.
“Oggi” è un’espressione cara a Luca, che la utilizza nei momenti fondamentali della vita di fede di ogni persona libera in cui Dio opera. La abbiamo sentita a Natale: “Oggi è nato per voi un Salvatore” (Lc.2,11); la sentiamo in casa di Zaccheo: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc.19,9); e ancora, nell’ultimo istante della vita sua e del destinatario: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc.23,43). Perciò non tarderà l’esortazione ai primi cristiani, “finché duri quest’oggi”, a non smettere di vegliare: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore” (Eb.3,13-15). Dio, infatti, è il “Vivente”, l’eterno “presente”. E invita a guardare la realtà nella contemporaneità del suo “oggi”, per discernerlo e attuarlo.
Nel suo tempo drammatico, avvertendo lo scricchiolio della fine dell’Impero, Agostino si preparava a scrivere “La Città di Dio”, pensava alle due città, la “terrena” e la “celeste”, in cui si fanno grandi discorsi sul bene comune e sull’amore, ma la realtà mostra due amori: “Di questi due amori l’uno è puro, l’altro impuro; l’uno sociale, l’altro privato; l’uno sollecito a servire il bene comune in vista della città celeste, l’altro pronto a subordinare anche il bene comune al proprio potere, in vista di una dominazione arrogante; l’uno è sottomesso a Dio, l’altro è nemico di Dio; tranquillo l’uno, turbolento l’altro; pacifico l’uno, l’altro litigioso; amichevole l’uno, l’altro invidioso; l’uno che vuole per il prossimo ciò che vuole per sé, l’altro che vuole sottomettere il prossimo a se stesso; l’uno che governa il prossimo per l’utilità del prossimo, l’altro per il proprio interesse” (La Genesi alla lettera, 11,16; anno 415).
In questa attualissima descrizione risuona. tra noi e in ciascuno di noi, l’“oggi” di Gesù, che ce ne fa carico nella sua Chiesa.
Lasciamogli lo spazio nel cuore perché ci ripeta il suo programma: la buona notizia ai poveri, la libertà ai prigionieri, la guarigione ai ciechi. Lasciamogli la libertà di dire le esigenze del suo “oggi”, perché la fede che ci è stata donata non sia soltanto celebrazione del passato, ma immersione nel momento di Dio, che è il presente in cui viviamo, e assunzione di responsabilità nel porre segni di speranza. Ci viene chiesto di guardare la notte culturale e la crisi di speranza con scelte e gesti di compassione e di condivisione, perciò come un’opportunità di accender fuochi caldi di vangelo che ricostruiscano e rinnovino nella fraternità.