Il Santuario
L’ALTARE MAGGIORE
L’altare maggiore, come la chiesa, secondo le tendenze stilistiche delle diverse epoche, ha avuto varie trasformazioni. Della chiesa del sec. XIII-XIV non abbiamo alcuna notizia, anche se gli storici ci dicono non essere stata una chiesa «da nulla»; era comunque molto piccola, tanto, dice il Bidera, che non potendo contenere il popolo che vi accorreva per le feste, vi si celebravano le messe all’esterno su due altari «di legno» cioè posticci messi ai lati della porta d’ingresso.
La costruzione del sec. XIV, dovuta nel 1353 al canonico Marino Brancaccio, aveva l’altare maggiore con le spalle rivolte all’attuale piazza e benché probabilmente in marmo, non ne abbiamo altre notizie, come pure non sappiamo se la chiesa avesse un abside: il Bernich accerta che la linea predominante nella costruzione fu «il gotico»; possiamo quindi arguire che anche l’altare maggiore avesse questo stile: ignoriamo se l’Immagine della Vergine di Piedigrotta fosse posta sull’altare maggiore come sembra molto probabile. Comunque la chiesa è detta molto piccola «nei giorni di grande affluenza» e tale rimase la situazione fino alla venuta dei Canonici lateranensi a Piedigrotta nell’anno 1453.
Sotto la pressione della tendenza allora presente nel tempo rinascimentale, di costruire cioè chiese più belle e più grandi, i Canonici ebbero subito il desiderio di iniziare la costruzione di una chiesa nuova e più vasta, conglobando in essa parte della fabbrica trecentesca; essi intanto avrebbero fatto i restauri più urgenti e gli ingrandimenti più necessari alla canonica annessa perché potesse ospitare il monastero: invece non lo potettero fare perché la chiesa di Piedigrotta, destituita della protezione regale del governo angioino, aveva perso la proprietà di tutti i suoi beni, rimasti nelle mani dei commendatari, al punto che il suo reddito era pressoché nullo: cento fiorini appena ed il Widloecher ci fa sapere che la chiesa aveva bisogno di urgenti restauri perché potesse ospitare il monastero: invece non lo potettero fare perché la chiesa di Piedigrotta, destituita della protezione regale del governo angioino, aveva perso la proprietà di tutti i suoi beni, rimasti nelle mani dei commendatari, al punto che il suo reddito era pressoché nullo: cento fiorini appena ed il Widloecher ci fa sapere che la chiesa aveva bisogno di urgenti restauri.
I Canonici potettero venire a Piedigrotta dopo che il re di Napoli, Alfonso d’Aragona restaurò nel puro necessario la chiesa ed il monastero, vivendo essi della carità del popolo e del sovrano finché non potettero recuperare le rendite ed i beni perduti. Ciò avvenne a cominciare dall’anno 1467; le entrate però non furono ancora sufficienti da poter iniziare la costruzione della nuova chiesa. Le guerre e le epidemie impedirono l’inizio dei lavori consistenti: solo il chiostro fu costruito alla fine del quattrocento (1480 e.) grazie alla generosità dei conti Gaetani di Fondi; esso è attribuito a Tommaso Malvito.
Una lapide del 1560 attribuiva a D. Vincenzo Galeota, lateranense e vescovo di Squillace (1522) le prime donazioni per la costruzione della nuova chiesa che in effetti si cominciò ad erigere verso il 1554 sotto il priorato di D. Paolo Olgiati da Lodi; anch’essa ebbe l’ingresso rivolto verso la Grotta di Posillipo e l’altare maggiore di marmo doveva essere grandioso come il cinquecento richiedeva: fu posto, come l’antico, sotto il patronato della famiglia Capace-Galeota, per cui da alcuni storici viene considerato un rifacimento o restauro dell’altare della vecchia chiesa. Tale patronato durava ancora alla fine del sec. XIX.
Non sono state trovate ulteriori notizie circa l’altare maggiore e la sua «cona» della Madonna. La ricostruzione, almeno nella sostanza delle strutture più importanti, era terminata nel 1560 allorché il De Stefano, nella sua «Descrizione dei luoghi sacri della città di Napoli», riporta accuratamente tutte le iscrizioni esistenti in Piedigrotta, presupponendo quindi di fatto la chiesa come completamente costruita nella parte muraria, anche se le cappelle erano ancora incomplete. Per la partenza del priore Olgiati il completamento della chiesa rimase incompiuto per circa vent’anni.
Alla fine del cinquecento, verso il 1575/80, l’asse della chiesa venne rovesciato in modo che l’ingresso fu posto sulla piazza verso la città; cambiò naturalmente l’orientamento dell’altare maggiore che volse le spalle alla Grotta ove prima era l’entrata: se la chiesa aveva in origine una piccola abside, la perdette del tutto. Rimane il dubbio se sia stato completamente rifatto o sia stato invece conservato l’altare cinquecentesco, trasportato ed adattato sempre per la generosità del patronato dei Capece-Galeota. Non abbiamo conoscenza dei particolari di questo altare e della sua nuova posizione avanti al coro ligneo dagli storici detto «quattrocentesco». L’immagine della Vergine SS.ma certamente posta sull’altare maggiore fu dal seicento posta in una «cona» o armadio di legno: non conosciamo però se questa nicchia in legno sia stata usata per la sua custodia anche nei secoli precedenti.
All’inizio del seicento, prima del 1606, altri lavori vennero fatti in chiesa ed in tale occasione «… la crociera fu troncata ai due capi, non restando di essa che due mozziconi e neppure eguali: nello spazio che restò a sinistra fu fatta un nuova sacristia, abbandonando l’antica (a dritta della primitiva porta) bassa, e per la vicinanza del monte, umida: quello a destra fu soppresso: la prima coppia di cappelle appresso la cupola fu ritenuta, ma tolto loro una metà della profondità che fino allora avevano avuto … ». Notisi che la cupola prevista nella costruzione del ‘500 rimase a lungo incompiuta; del resto non sappiamo se avvennero altri lavori di abbellimento barocco nell’altare maggiore; se vi furono certo scomparvero sotto gli ornamenti del secolo seguente.
E’ documentato che nel seicento l’Immagine della Madonna venne conservata in una «cona» di legno; lo sportello anteriore di essa aveva un’apertura ottagonale con cornice d’argento riccamente ornata che lasciava vedere e onorare la parte superiore della sacra Immagine di Maria e del divino Infante allorché una cortina di stoffa sollevata da un piccolo argano lo permetteva in particolari momenti.
Il rifacimento più importante avvenuto in chiesa nel settecento è certamente il nuovo altare maggiore che fu rifatto nel pomposo stile dell’epoca con artistica custodia della statua della Vergine che molti giudicarono di cattivo gusto.
Fu l’abate Prospero Palanci che nel 1706, giudicando ben misero l’esistente altare maggiore, decise con i Canonici di rinnovarlo completamente usando allo scopo i marmi preziosi ed il bellissimo paliotto in marmi intarsiati del seicento che erano nella cappella di S. Lazzaro ove si era estinto il patronato degli eredi Squarciafico … ; per i lavori del nuovo altare, l’Immagine della Vergine venne trasportata ad altro altare provvisorio con una eccezionale processione. I Canonici si gravarono di debiti e di ipoteche per l’ammontare di circa duemila ducati per il nuovo altare maggiore «di marmo e di porfido assai magnifico … per dare maggior decoro all’immagine della Santissima Vergine». Nell’anno 1708 i Canonici vendono la cornice preziosa d’argento che era sulla parte esterna della corra ormai abolita e per cui la Sacra Immagine di Maria e del Bambino era resa interamente visibile. Fino a quel momento nelle feste di settembre veniva costruito un magnifico trono in legno ornato sul quale veniva esposta alla devozione dei fedeli la venerata Immagine; per la costruzione del trono e per l’addobbo delle feste venivano spesi ogni anno 27 ducati fino alla costruzione del nuovo altare maggiore.
Gennaro Raguzzino architetto e disegnatore del nuovo altare, il 14 luglio 1708, tramite il notaio Siniscalchi, così attesta: «… la detta sagra Immagine della Beata Vergine, la quale per prima compariva nella cona di legno solo con la testa, oggi per la detta nuova composizione e disegno compare per tutta intero e come che prima di farsi detta nuova composizione e disegno vi stava una cornice d’argento ottangolata lunga circa tre palmi e larga circa due palmi da fuori in fuori quando conteneva la veduta della detta testa della Beata Vergine, la plancia della quale cornice era larga da un terzo di palmo, restò inutile ed inservibile detta cornice per la suddetta nuova composizione fatta e compita … con la quale li detti Priore e Padri vengono a sparammiare da ducati 80 e più ogn’anno nel dì della festa della Natività della Beata Vergine per la macchina di legno ch’eran soliti fare ognuno, la qual macchina per la detta nuova opera di marmi e mischi già fatta, non viene a farsi in avvenire, comparendo assai più magnifica e decorosa la detta opera in marmi e mischi di vari colori … ».
Pare che fu da questo momento che l’Immagine di Maria fu rivestita alla maniera spagnola, di un pesante manto di seta e ricami.
Nel 1722 l’abate D.Bernardo Positano volle estendere a tutta la chiesa l’ornamentazione di stucchi settecenteschi: «Tal’abbellimento … non solo è necessario e non superfluo ma anche utile perché così non vi sarà più bisogno di farla apparare di controtagli et altro nella festa delli otto settembre in detta Chiesa, con che si vengono a sparammiare ducati 27 l’anno che si danno all’apparatore». Con atto capitolare di notar Empoli del 30 gennaio 1722, i Canonici «hanno dichiarato che la Venerabile Chiesa di detto loro monastero tiene bisogno di una fabbrica che la rende maggiormente abbellita e decorosa» perciò essi «fanno abbellire la chiesa … di stucco con altri abbellimenti di fabrica e lamie di canna nel choro»: così testimonia Domenico De Marco stuccatore.
L’altare maggiore venne ornato di una bellissima balaustra di marmi intarsiati, dono dei marchesi Pinelli e dichiarato più tardi «privilegiato per i vivi e per i defunti» (1757). Altre ornamentazioni barocche resero nel 1798 l’altare maggiore di pessimo gusto e così rimase fino ai lavori successivi.
Fu così che la chiesa, alla fine del secolo, se acquistò una più nobile facciata, un campanile anche piccolo e più tardi ebbe pure il completamento della cupola, all’interno invece rimase imbarocchita con l’aspetto di una lunga navata informe. All’inizio del sec. XIX nuovi avvenimenti storici influenzarono i Canonici e li decisero fin dal 1812 ad attuare un radicale rinnovamento all’interno.
La nuova importanza acquistata dal Santuario di Piedigrotta per l’avvenuta Incoronazione dell’Immagine di Maria Santissima e del Bambino decretata dal Capitolo Vaticano ed avvenuta il 5 settembre 1802 e per l’unione dei lateranensi con i Canonici renani raggiunta negli anni 1819‑23 per cui Piedigrotta divenne sede di alcuni abati generali della nuova congregazione lateranense, spinse la comunità napoletana al rinnovo della chiesa che, malgrado la soppressione del 1809, era rimasta di loro proprietà.
L’altare maggiore venne portato più avanti e creata una nuova abside in legno che ridava alla chiesa la pianta a croce latina: essa risultava rimpicciolita ma più armonica; il neoclassico trionfò al posto delle stuccature barocche: con il ritorno di re Ferdinando I a Napoli i lavori di restauro potettero continuare fino al 1822; non conosciamo però altri particolari circa la struttura dell’altare maggiore. La chiesa così rinnovata fu consacrata da Mons. Ventapane il 3 giugno 1824; dopo la visita di Pio IX nel 1849 venne elevata al rango di Basilica Minore.
Per le celebrazioni centenarie del 1853 si fecero grandiosi progetti per il monastero e per la chiesa: mentre Errico Alvino realizzava in due mesi la nuova facciata, in chiesa si fecero il nuovo pavimento di Gaetano Genovese e le pitture della volta di Gaetano Gigante. Rimase sospesa la costruzione del nuovo campanile e l’abbellimento delle cappelle.
Da una stampa d’epoca, sotto gli orpelli festivi, l’altare maggiore appare nel 1853 essere com’è attualmente e poi successivamente conservato; vi sono conservate la balaustra, il paliotto e le colonne di marmo grigio provenienti dalla cappella Squarciafico; vi fu posto sopra un ciborio artistico del settecento acquistato dai Canonici e restaurato qualche anno fa (1987) dal maestro Antonio Borrelli.
Vennero i tempi tristi della soppressione sabauda (1865) e la comunità dei Canonici venne sciolta: nessun altro lavoro venne fatto in chiesa ad eccezione di qualche miglioramento alle cappelle. All’inizio di questo secolo, ricostruitasi una piccola comunità, fu elevato sulla chiesa un appartamento per accoglierla (1912).
Sotto il governo dell’abate Pucci dal 1912 al 1928 si ebbero in chiesa importanti lavori che riportarono il tempio alla grandezza originale. Per l’opera dell’architetto Pietro Paolo Farinelli si demolì l’abside posticcia e l’altare maggiore venne eretto per l’Immagine della Vergine con due comode scale per accedervi, lasciando indipendente l’ampio presbiterio fornito di capace retroaltare con un insieme efficacemente scenografico.
L’altare però non venne toccato. Nel 1926 venne costruito il nuovo campanile che era rimasto incompiuto; il disegno e la costruzione sono dell’architetto Renato Palozzi. Nel 1953 l’interno della chiesa venne completamente ripulito.
La riforma liturgica oggi in atto prevede un nuovo altare, unico nella chiesa e rivolto verso il popolo per la celebrazione delle SS. messe; dopo aver rimediato per anni con un altare in legno, nel 1993 si è provveduto alla costruzione di un nuovo altare maggiore e stabile in marmo bianco e rosso levanto per progetto ed opera dell’architetto Eugenio Abruzzini, rimanendo il vecchio altare maggiore come sede e supporto del ciborio eucaristico. Con materiale identico si è costruita pure la sede del celebrante e l’ambone; si è presa pure l’occasione di rinnovare il pavimento del presbiterio rimovendo quello costruito nel 1929 dal parroco D. Carlo Filippi; si è spostata più avanti e più in basso l’antica balaustra dei marchesi Pinelli per rendere più visibile al popolo l’altare ed il presbiterio.